La segale è uno dei cereali più diffusi nell’Europa centrale ma, per gli strani viaggi che i cibi compiono al seguito degli uomini, ha trovato un habitat ideale anche nel nostro territorio. Non si sa chi abbia diffuso tale coltivazione: fra le tante ipotesi si riporta quella che vuole la segale viaggiare al seguito di Carlo V, l’imperatore sul cui regno non tramontava mai il sole, che proprio a Seminara combatté uno scontro decisivo contro il suo nemico, Francesco I di Francia. Carlo V, l’imperatore del Sacro Romano Impero, l’avrebbe, quindi, introdotta proprio dai suoi territori tedeschi. Questo, secondo qualche antico commentatore, spiegherebbe l’origine del nome “Jurmanu” con cui la segale è conosciuta in tutto il Sud Italia.
Vera o non vera questa ipotesi, fatto sta che, come per tanti altri prodotti, qui la segale ha ben attecchito, fino ad assumere caratteristiche proprie, che consentono di dire che ormai lo Jurmanu è uno degli alimenti identitari del territorio. Facile da coltivare, robusto, di poche pretese, era il cereale ideale per le classi più umili, che difficilmente avevano accesso al grano ed alla sua delicata farina. Era quindi usato per ricavarne un pane scuro che forniva un succedaneo utile alla povera alimentazione di contadini e pastori.
Con l’arrivo di maggiori quantità di grano e la migliore disponibilità di farina bianca, la coltura dello Jurmanu aveva cominciato a conoscere un rapido declino, fino quasi a farlo scomparire.
Oggi, in una generale rinnovata attenzione verso le colture tradizionali, lo Jurmanu conosce una nuova popolarità, tanto da essere utilizzato anche per altri prodotti alimentari: i mastri birrai lo hanno inserito nella preparazione di birre dal sapore intenso e profumato, come quella creata per l’occasione di questo menu, in cui si incontrano diversi ingredienti locali, e in cui lo Jurmanu gioca un ruolo determinante.